martedì 24 luglio 2012

Sparito


Il tempo qui vive di contratture e d’un dilatarsi strano, come moltiplicato. Corri, sei sempre in ritardo, stai perdendo qualcosa. Oppure te ne stai mezzora a far nulla sotto il portico, solo guardando le nuvole, lanciando lo sguardo oltre il parcheggio in fondo, aspettando che arrivi qualcuno. Poi qualcuno arriva sempre. E magari è l’amico eccezionalmente alto senza cui questo posto non avrebbe senso; oppure lo studente gentile che forse non capisce tutto ma sorride sempre d’un sorriso gioioso, lieto. Arrivi comunque alla fine di un giorno e ti sembra di averne vissuti almeno centomila. Nel mezzo hai cambiato umore, abito, cielo e temperatura. Molte volte. Senza riposo. Hai sfogliato programmi e persone con cui sederti a pranzo. Hai usato mille parole per dirne una.  Sicché ti piglia la voglia di sdraiarti sul letto e dormire per almeno una settimana. Chiudere gli occhi e non dire nulla. Solo silenzio e pace e le lenzuola del mercoledì che sono fresche di bucato.  Ma poi c’è la radio da preparare, il brunch da fare, Burlington da raggiungere. O un film, un incontro, una lezione, l’odore di funghi da spiegare ai ragazzi prima che sia il momento di cantare. Così ci sprofondi dentro, a questo sbattere di cose, e te ne lasci sopraffare. Ma sì, non ci perdiamo nulla. Tanto ti senti che questo tuo ritorno a Middlebury è un addio. Allora quel vialetto, il campanile della chiesa, tutti quei tralicci e la mensa dalle grandi vetrate assumono contorni quasi mitici anche mentre ce li hai davanti agli occhi: allunghi una mano ma già non li tocchi più. Sei via. Non esiste la rana che ti ha attraversato la strada, né la nube a forma di drago sopra il teatro e neppure la musica delle campane alle due e cinquantacinque del pomeriggio quando vai a lezione. Di sicuro, appena volti l’angolo smontano tutto e puf, via, sparito. È il bello e il terribile di questo posto: non esiste fuori da qui.

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